PIETRASANTA. Sulla vicenda della “colorita” protesta a base di galline contro la rete anti-bivacchi (per alcuni anti-immigrati) del Comune di Pietrasanta, interviene Luca Privitera di Ultimo Teatro Produzioni Incivili.

“Tornati da poche ore da Verona, reduci da una piccola residenza e dallo spettacolo “In Ginocchio – storie di mafia” tenutosi ad Erbé, per i partecipanti del campo di “E!State Liberi” di Libera (nomi e numeri contro le mafie) – nel podere confiscato al Principe di Verona –, trovo nel cestino di mio suocero i quotidiani “Il Tirreno e La Nazione” che dedicano le loro pagine principali, all’operazione coccodè e alla reazione divertita e da noi preventivata del Sindaco Mallegni e dei suoi consorzianti.

Intanto, visto il contenuto degli articoli ed i titoli, ci tengo e ci teniamo a dire che non siamo dei centri sociali, anche se li frequentiamo, così, come frequentiamo scuole, teatri, piazze e comuni di tutta Italia, ma siamo tutt’altro.

Siamo liberi cittadini. Quella sera – come si evince anche da alcune immagini del video che troverete in fondo a questa lettera –, eravamo solo “5 artisti o artigiani dell’immagine e della scena o media attivisti” con alcuni dei nostri figli e con 4 galline a seguito, e non con 7, né con 3.

Ben cibate e ben abbeverate. Anzi vorrei eccedere usando la parola “Liberate!”, proprio, perché comprate con i nostri soldi – in un allevamento intensivo a batteria –, quindi, probabilmente, dalla loro nascita ad oggi (il 20 agosto 2015), è stata la prima volta che potevano annusare il mare e peggio ancora, e nella migliore delle ipotesi, stendere le loro ali oltrepassando il metro di spazio e di civiltà.

Nel nostro umile, anche se provocatorio pensiero, abbiamo riflettuto e immaginato la precaria situazione del giorno dopo, e ci siamo detti: << Qualcuno gli darà una casa migliore? Non li lasceranno, lì, a morire di fame e di caldo! Non li lasceranno nel terrore di essere circondati da altre bestie o da altri uomini? Certo – abbiamo concluso – ci penserà Il Signor Sindaco a dargli da mangiare. A dargli un rifugio, un po’ di comprensione! Almeno quello .. vorrà farlo? Salvare quattro galline, in fondo, è anche un suo dovere! Aiutarle! Capire i loro Problemi! Trovare delle soluzioni comprensibili. Democratiche. Giuste! >>.

Naturalmente, pensare male di noi – esseri “crudeli”, a tal punto da rinchiudere i quattro consimili dentro delle gabbie – è lecito. Il nostro è stato un atto “criminale”. Ma siamo dei burloni, noi. E come non esserlo, nella riviera dei Burlamacco e delle carnelavate? Come potevamo tradire la lunga tradizione della goliardia, della Toscanità Boccaccesca e delle Zingarate?

Siamo degli “eccentrici”, noi, che della polis e della sua cura, né abbiamo fatto una missione quasi maniacale, cercando giorno dopo giorno di trasformare le nostre conoscenze ed i nostri traguardi in una riflessione collettiva, in uno scambio di saperi, di incontri tra le diversità e non, uno status quo prepotente e intollerante.

E siamo sicuri, nella nostra incertezza, che Monicelli – uomo di cultura e di profondità – avrebbe riso con noi. E forse, anche di noi e di Voi messi insieme.

Caro Sindaco Mallegni, Cari turisti, Cari giornalisti, Caro Sindaco Buratti – che ha lanciato, già da un anno, questa risoluzione contenitiva ed esteticamente calciomane – Cari Voi tutti compatrioti, voglio dichiarare la mia colpevolezza e la mia complicità in tutto quello che Voi – Signori e Signore integerrimi –, ritenete insopportabile e di disturbo.

Confesso che quasi tutti gli occhiali da sole che indosso, così, come: la micro-radio che ascolto con orgoglio; gli elefantini in finta porcellana disseminati per la mia casa; le palette ed i secchielli per i miei figli; i rari braccialetti che ho; i molti libri sulla storia d’Africa e dei suoi Poeti, Leader, Griot; i famosi “Grigrì” – che mi servono per aumentare la mia attività sessuale –, li ho comprati da loro. Sì, anche i Grigrì. E rido, perché non ho bisogno dei “Grigrì” per amare mia moglie, né per amoreggiare ed essere felice con lei. Sono Siciliano. Sono passionale. Ho il fuoco dell’Etna che mi pervade e sono ahimè eccessivo. Ma rido. Rido, perché sono loro – gli africani, gli asiatici, gli arabi, i dimenticati, gli esclusi, i clandestini, gli sporchi neri – che mi fanno ridere. Sono loro che mi portano sprazzi di gioia in queste spiagge italiane tristi, in queste spiagge italiane caotiche e logorate dalla frenesia del consumismo turistico più becero e ciociaro – dove, anche il riposo sembra portare con sé atti di ansia e di nervosismo –, pretenzioso, blaterato, imbastardito. Sono loro che mi raccontano le loro storie, le atrocità vissute e le sofferenze di popoli che noi abbiamo sfruttato e aiutato a distruggere, ad impoverire, rendendoli vittime eterne di una giustizia occidentale che si preoccupa dell’estetica dei propri paesi, ma non dei contenuti della propria pretestuosità. Sono loro che mi donano la speranza in questo mondo corrotto e nauseante, furibondo, vigliacco. Sono loro, con i loro occhi, con i loro sorrisi, con la loro profondità, con la loro gentilezza a darmi speranza. Loro, che mi raccontano storie che nessun giornale – approssimativo – potrebbe darmi, storie che nessun politico – populista – potrebbe offrirmi, storie che nessun cittadino – male informato – potrebbe insinuarmi. Loro, gli stessi che ho incontrato anche nei ghetti di Castel Volturno, o di Rosarno, o di Mineo, o di Foggia, o di Messina, o di Milano, o negli ospedali di Emergency. Gli stessi che vediamo morire nel nostro mediterraneo o che sbarcano a Lampedusa ed in altri luoghi del sud Italia. Gli/le stessi/e che combattono per difendere la nigeria dalle speculazioni petrolifere dell’Eni. Gli/le stessi/e che mandano i loro figli a morire nelle miniere di pietre preziose che noi doniamo alle nostre splendide mogli. Gli/le stessi/e a cui derubiamo per quattro soldi le materie prime che accendono i nostri telefoni ed i nostri pc. Gli/le stessi/e che vengono obbligati alla prostituzione in strada o nelle macchine dei nostri concittadini, dei nostri padri di famiglia, della nostra gioventù. Gli/le stessi/e sfruttati dalle aziende agricole italiane che ci permettono di mangiare ortaggi e frutta delle nostre terre al sapor di sangue d’Africa.

Loro, che vivono nell’esodo la speranza, sono uomini, donne e bambini che hanno avuto il coraggio di abbandonare le loro terre, perché abbiamo offerto loro, il sogno di un evoluzione e di una civiltà che svela continuamente la sua faccia. Attraverso il cinismo, l’ipocrisia e l’ignoranza.

Non voglio inasprire l’eventuale dialogo o l’eventuale risposta, che vedrà i miei “complici” sicuramente concordi, ma tutto questo ridere di un immagine offerta da coloro che pensano di poter gestire qualcosa che ha bisogno di un minimo di studio e di scienza umanista, mi inorridisce e mi fa pensare, che l’Italia, terra di poeti e santi, sia divenuta la terra degli illusi e degli ingannati – non da un eventuale nemico o straniero o occupante, ma da loro stessi – gli Italiani divenuti fobici dalla troppa Italianità.

Finendo così questo mio breve scritto, reputo comunque interessante costatare, come per qualcuno la visione della comunità sia legata principalmente alle questioni del “decoro”, “dell’igiene” e della “legalità”; per qualcun altro ad una semplice questione di sopravvivenza e di fuga dalla morte certa.
Cordialmente
Luca Privitera di Ultimo Teatro Produzioni Incivili
https://ultimoteatro.wordpress.com

 

 

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